Acqua. Pdl Daga, verso la chiusura del ciclo di audizioni. Utilitalia: “Positiva la consapevolezza sulla gestione industriale”
ROMA – “Nelle audizioni alla Commissione Ambiente della Camera tenute in questi giorni, tutti hanno ribadito la necessità di una visione di lungo periodo, di una libertà di scelta nella forma di gestione del servizio che tenga conto dei livelli occupazionali e della capacità industriale dell’azienda. Dalle imprese ai sindacati, dalle associazioni ambientaliste agli enti locali hanno mostrato maggior consapevolezza del passato verso la complessità del settore idrico”.
Questo il commento di Giovanni Valotti, presidente di Utilitalia – la federazione che riunisce i gestori dell’acqua dell’energia e dell’ambiente – alla chiusura del ciclo di audizioni che la Commissione Ambiente della Camera sta effettuando sulla proposta di legge di riforma del settore idrico(PdL Daga).
Utilitalia è stata uno dei primi soggetti ad essere auditi e le decine di interventi successivi hanno sostanzialmente confermato le osservazioni tecniche ed economiche che la federazione ha depositato agli atti.
Tra i soggetti ascoltati in Commissione Ambiente anche diverse aziende associate a Confservizi ER come Gruppo Hera, Gruppo Iren, Emiliambiente e Romagna Acque (vai all’articolo).
“È ormai chiaro a tutti che quando si parla di acqua si deve ragionare nel concreto degli interventi necessari e delle conseguenze per i cittadini e i territori. Si devono considerare investimenti, progettazione delle reti, capacità di gestione amministrativa e di tutela delle risorse, governance del territorio e regolazione dei servizi. Una strategia idrica nazionale non può non tener conto dei cambiamenti climatici, delle norme europee sugli affidamenti e dei circa quattro miliardi l’anno che il sistema idrico nazionale richiede per evitare di pagare le multe UE per i ritardi nella depurazione”.
Nelle audizioni di questi due mesi i diversi soggetti coinvolti (imprese, associazioni, autorità di regolazione e amministrazioni locali) hanno ribadito che gli enti locali devono essere liberi di decidere la forma societaria del gestore e le procedure di affidamento, che la copertura dei costi debba essere garantita dalla tariffa (perché i fondi pubblici sono troppo esposti ai cicli politici), che il cambiamento obbligato a livello nazionale verso il modello delle aziende speciali degli anni ’90 avrebbe dei costi e rischi eccessivi per le casse dello Stato e introdurrebbe vincoli alla gestione efficiente dei servizi, che le attuali forme di universalità del servizio siano già ora in grado di garantire le fasce più deboli della popolazione, che la regolazione autonoma e indipendente dell’Autorità ha portato in pochi anni a risultati che non erano stati raggiunti nei decenni precedenti dai quali derivano i ritardi accumulati dal sistema e che si stanno ora smaltendo, che la scala gestionale dell’acqua debba attestarsi almeno a 500.000 abitanti serviti, per evitare il proliferare di piccole e piccolissime società che metterebbero a rischio la continuità del servizio, la capacità di investire e l’efficentamento dei costi.
Hanno chiuso il ciclo di audizioni, gli interventi di Confindustria e di Anci.
L’associazione degli industriali ha sottolineato come l”‘impostazione delle due proposte di legge metta l’impresa in contrapposizione, o addirittura in concorrenza, con l’uso della risorsa idrica per il consumo umano. Bisognerebbe valorizzare l’aspetto per cui la qualità dell’acqua richiesta dal comparto industriale, non richiedendo gli stessi standard di quella dedicata al consumo umano, ne facilita e promuove l’utilizzo anche in un’ottica di economia circolare. Inoltre, non convince il ritorno della regolazione al Ministero dell’Ambiente, a scapito dell’operato finora portato avanti dall’ARERA nel promuovere gli investimenti.”
Confindustria ha anche mostrato preoccupazione per la nascita di un Fondo nazionale per la ri-publicizzazione che non solo “non considera le implicazioni giuridiche relative ai legittimi affidamenti sui contratti di concessione, ma rischia altresì di frenare gli investimenti virtuosi nel settore.”, aggiungendo inoltre preoccupazione per il rischio di aumento dei costi.
Anci. “Abbiamo esposto il nostro documento in un clima molto collaborativo – ha detto Enrico Stefàno, presidente della Commissione SPL dell’Anci – condividendo gli obiettivi della legge, rimarcando tuttavia che riteniamo necessario un raccordo costante con gli enti locali per garantire un percorso che possa consentire il raggiungimento degli obiettivi di legge. La posizione riportata è frutto dunque di un lavoro condiviso tra Comuni grandi e piccoli, svolto nell’ambito della Commissione Anci.
Abbiamo evidenziato tre criticità principali. La prima riguarda i tempi del regime transitorio, oneroso ed a nostro avviso eccessivamente stretti per trasformare le società di gestione da miste a in house. C’è poi da salvaguardare l’autonomia degli enti locali nella scelta sul modello di gestione che non può essere unicamente il ricorso alle aziende speciali. Prevedere anche altre forme di gestione, con opportuni correttivi, potrebbe essere quindi un giusto compromesso. Infine, ma non per ultimo, il tema delle risorse dedicate al processo di riforma, attualmente aleatorio e poco chiaro, mentre servirebbero coperture certe e stabili, soprattutto per gli enti più piccoli”.