End of Waste, luci e ombre della recente riforma
La recente legge 128/2019 riscrive le disposizioni relative alla cessazione della qualifica di rifiuto, riconoscendo nuovamente la possibilità per gli enti locali di rilasciare autorizzazioni “caso per caso”. Non pienamente definita la questione dei controlli ex post sugli impianti in esercizio, in capo al Snpa.
Pubblichiamo, in merito, l’articolo del direttore Arpae Giuseppe Bortone e del Responsabile Servizio Affari istituzionali e avvocatura Giovanni Fantini, apparso sul numero 5/2019 della rivista Ecoscienza.
Con la recente approvazione della legge n. 128 del 2 novembre 2019 di conversione del decreto “Crisi aziendali”, si è giunti a un approdo (definitivo?) nella complessa materia della disciplina giuridica della cessazione della qualifica di rifiuto, attraverso una nuova formulazione dell’art. 184 ter del Dlgs 152/2006 relativo all’end of waste. Come noto, il settore produttivo legato al recupero di materiale da rifiuti, uno dei più importanti dell’intera filiera dell’economia circolare, era entrato in fibrillazione a seguito di una discussa sentenza del Consiglio di Stato (Sez. IV, n. 1229 del 28.2.2018), con la quale il massimo organo della giustizia amministrativa aveva sostanzialmente affermato che la normativa comunitaria non riconoscerebbe il potere di valutazione “caso per caso” a enti o organizzazioni interne allo Stato e pertanto le Regioni, e gli altri enti dalle stesse delegate, non avrebbero il potere di definire cosa è da intendersi o meno come rifiuto.
I giudici, richiamando la direttiva quadro sui Rifiuti (2008/98/CE), avevano quindi rilevato la riserva in via esclusiva allo Stato della possibilità di determinare i criteri di dettaglio che, in assenza di Regolamenti europei, consentono di dimostrare il rispetto delle condizioni indispensabili per la realizzazione dell’end of waste.
Il primo intervento normativo con il decreto “Sblocca cantieri”
Un primo intervento legislativo conseguente alla sentenza sopra richiamata era stato quello contenuto nella legge 14 giugno 2019, n. 55, di conversione del decreto cd. “Sblocca cantieri”. La norma in questione tuttavia si limitava di fatto a confermare l’assunto che affinché un tipo di rifiuto potesse perdere tale qualifica per acquisire quella di prodotto, i necessari criteri di declassificazione a esso riferiti dovevano essere definiti a livello esclusivamente comunitario o statale. Inoltre, in maniera grave, la legge n. 55/2019 non prevedeva nulla per le autorizzazioni in vigore, già rilasciate sulla base di criteri “caso per caso” definiti dalle amministrazioni competenti.
Non a caso pertanto questa legge “estiva” è stata da subito criticata da più parti. La stessa associazione delle Agenzie ambientali AssoArpa, con un proprio position paper, aveva avuto modo di sollecitare un nuovo intervento che portasse norme più certe e definisse soprattutto un adeguato regime transitorio, necessario per gestire con la dovuta proporzionalità la delicata attività di vigilanza ambientale sulle aziende interessate.
La nuova disciplina dell’end of waste nella legge 128/2019
È questo pertanto lo scenario in cui è ora intervenuta la nuova legge n. 128/2019 richiamata in premessa. Punto fondamentale della norma è quello che prevede che, in mancanza di criteri specifici adottati tramite i consueti (e di fatto mai emanati) regolamenti ministeriali, le autorizzazioni per lo svolgimento di operazioni di recupero siano rilasciate o rinnovate direttamente nel rispetto delle condizioni di cui all’articolo 6 della direttiva 2008/98/CE, e sulla base di criteri dettagliati, definiti nell’ambito dei medesimi procedimenti autorizzatori. Sostanzialmente quindi si afferma che le autorità locali riprendono il potere di autorizzare caso per caso.
A tal riguardo è tuttavia bene rammentare come le condizioni previste dal citato art. 6 della direttiva comunitaria siano molteplici e stringenti:
1) il prodotto deve essere comunemente utilizzato per scopi specifici
2) deve esistere un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto
3) la sostanza o l’oggetto deve soddisfare i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispettare la normativa e gli standard esistenti
4) e infine l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non deve portare a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
La legge n. 128/2019, prevedendo un opportuno regime transitorio, si premura inoltre di specificare che le autorizzazioni in essere alla data di entrata in vigore della stessa legge o per le quali è in corso un procedimento di rinnovo o che risultano scadute, ma per le quali è presentata un’istanza di rinnovo entro 120 giorni, sono fatte salve.
Alcune considerazioni conclusive
Tutto bene quindi? Certamente la nuova norma costituisce un passo in avanti, offre una copertura normativa per l’attività di diverse aziende che rischiavano seriamente di chiudere e consente quindi, in ultima analisi, una maggiore promozione di un’economia basata sulla circolarità dei beni.
Più critico invece il sistema dei controlli ambientali che la legge 128 delinea, nel quale si ravvisa un approccio eccessivamente burocratizzato. Sotto questo profilo pertanto la norma non pare rispondere in pieno a quella richiesta “di certezza delle regole” avanzata da più parti.
Oggettivamente, e questo è un elemento la cui efficacia andrà verificata nel tempo, la legge sposta il baricentro della vigilanza in una fase ex post, successiva quindi all’effettiva attivazione degli impianti. In questo senso, i nuovi commi 3 ter e 3 quater dell’art. 184 ter del Dlgs 152/2006 configurano un ruolo di Ispra, o delle Agenzie regionali delegate, diverso da quello attualmente svolto. Tali organismi tecnici, nel verificare la conformità della gestione dell’impianto alle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni, avranno di fatto anche il potere di richiedere adeguamenti alle autorizzazioni stesse, circostanza questa che configura un nuovo rapporto, che andrà gestito con l’adeguata sensibilità istituzionale, tra le medesime Agenzie ambientali e le Autorità competenti.
Forse sarebbe stato più opportuno enfatizzare il ruolo del Snpa nella fase istruttoria al rilascio delle autorizzazioni, rendendo obbligatorio e vincolante il parere tecnico preventivo espresso dalle Arpa/Appa. Anche il ruolo del ministero dell’Ambiente, il quale, al fine di fornire elementi di omogeneizzazione sull’intero territorio nazionale, dovrebbe intervenire nei vari procedimenti amministrativi finalizzati alla verifica del rispetto delle prescrizioni, non pare definito compiutamente. Questa circostanza potrebbe divenire una problematicità significativa in quanto, in caso di situazione di non conformità riscontrate nelle aziende, i tempi di risposta delle amministrazioni locali devono essere comunque celeri, e sfociare, quando necessario, in efficaci atti di diffida, sospensione o revoca.
Infine il meccanismo di controlli “a campione” non pare per ora delineato con chiarezza nei suoi aspetti operativi. Opportuna pertanto la scelta del Snpa di rendere da subito operativo un gruppo di lavoro a cui è stato conferito il compito di proporre meccanismi trasparenti, omogenei e semplificati.
Il Sistema agenziale, anche in questa occasione, sicuramente dovrà portare il proprio contributo di eccellenza tecnica per restituire la necessaria definizione di quel quadro di regole certe di cui ha bisogno un settore in rapida evoluzione come quello dell’economia circolare, fondamentale tra l’altro per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.