Servizio idrico: efficienza del modello gestionale
La ricerca indaga sull’efficacia dei diversi modelli gestionali del settore idrico in Italia, e si concentra sull’analisi comparativa tra le varie modalità di gestione, industriale, in economia, mista, e sull’impatto che queste esercitano sulla qualità del servizio, sulla redditività, sulla sostenibilità e sulla capacità innovativa.

Basandosi su dati finanziari e indicatori di performance, la ricerca si propone di offrire un quadro dettagliato della situazione attuale, evidenziando le disomogeneità territoriali e le buone pratiche, ma anche i nodi critici che ancora limitano la piena efficienza del comparto. Tra i fattori chiave analizzati: il livello di perdite idriche, il fatturato delle imprese, le eventuali perdite di esercizio, oltre a elementi strutturali e organizzativi che condizionano le prestazioni del sistema.
L’obiettivo è duplice: da un lato, offrire uno strumento concreto di conoscenza e supporto decisionale per enti locali, gestori e istituzioni; dall’altro, stimolare un confronto tra operatori pubblici e privati su come rafforzare l’imprenditorialità e la sostenibilità nel settore idrico.
Sintesi dei risultati della ricerca
In Italia circa il 15% dei comuni gestisce in maniera “diretta” le proprie reti di distribuzione idrica, le fognature e quel complesso apparato di infrastrutture che ricadono sotto il “cappello” della dicitura servizio idrico integrato (SII). In alcune regioni come Toscana, Umbria o Friuli Venezia Giulia le gestioni in economia sono assolutamente residuali o addirittura assenti, e altre in cui invece la gestione del servizio in economia è ancora la regola, come Trentino Alto Adige (95%), Campania (95%), Sicilia (88%).
Sul fronte economico-finanziario, il campione di 164 società mostra nel 2015–2023 una crescita “regolata”: ricavi ed EBITDA (redditività operativa di un’azienda prima di dedurre interessi, imposte, svalutazioni e ammortamenti) in aumento; produttività per addetto in miglioramento; riduzione della leva finanziaria. La dinamica dei margini appare resiliente anche negli anni di shock (pandemia e rialzo energia), coerente con la natura di servizio a costi fissi e con meccanismi regolatori di recupero costi.
L’incrocio fra tariffe e governance non ha evidenziato una proporzionalità diretta. Il modello organizzativo incide sugli incentivi e sulla bancabilità, ma il suo effetto sul prezzo è mediato da questi driver.
Anche sul fronte delle perdite idriche, delle fognature, della qualità dell’acqua depurata o dello smaltimento dei fanghi, il quadro è risultato essere composito: la forma societaria si associa generalmente a una migliore completezza informativa e, in media, a una maggiore probabilità di collocarsi nelle classi intermedie/buone per diversi indicatori. L’analisi non sembra supportare l’esistenza di una correlazione tra l’esito delle analisi qualitative e la quota regionale di gestioni in economia rispetto a quelle societarie.
Confrontando i dati macroeconomici con le evidenze emerse dalle ulteriori analisi della ricerca, è possibile evidenziare alcuni aspetti centrali.
La componente burocratica eccessivamente formale è un ostacolo alla modernizzazione delle reti e all’introduzione di nuove tecnologie, insieme alla frammentazione delle competenze o, in alcuni casi, all’assenza di una visione progettuale. I soggetti intervistati testimoniano una certa difficoltà nel mantenere l’equilibrio economico-finanziario delle gestioni, specie a fronte di nuove normative e requisiti più stringenti.
Semplificazione della regolazione e degli iter autorizzativi, nonché riduzione del numero di gestori per aumentare solidità e capacità di investimento è un altro aspetto evidenziato insieme alla proposta di strutturare una governance nazionale unitaria del settore idrico, con la creazione di un’Autorità per l’Acqua e una pianificazione pluriennale delle opere.
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Fonte: RegioneAmbiente/Lab e Lab