Rapporto Territori ASviS: l’Italia procede a velocità differenziata verso il 2030
Senza regioni, province autonome, comuni ed enti locali lo sviluppo sostenibile non si fa. È questo il messaggio che, ancora una volta, esce fuori in maniera chiara dal Rapporto Territori “Obiettivi globali, soluzioni locali” dell’ASviS, giunto quest’anno alla sua sesta edizione.
Curato da tutta l’Alleanza, e in particolare dall’Area ricerca e dal Gruppo di lavoro 11 (Città e comunità sostenibili), il documento sottolinea che “il percorso del Paese verso un governo sostenibile capace di supportare le trasformazioni territoriali stenta ad affermarsi”. E quindi bisogna rivolgersi ai territori, realtà più o meno piccole che possono dare lo slancio a questo percorso.
Come descritto nel Rapporto annuale dell’ASviS pubblicato ad ottobre, a dieci anni dall’adozione dell’Agenda 2030, i progressi globali verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) sono decisamente insufficienti: solo il 18% dei Target verrà raggiunto, mentre una quota rilevante è in stallo o in regressione. Povertà estrema, insicurezza alimentare, carenze nell’accesso ad acqua, servizi igienici, energia e alloggi dignitosi restano diffuse, così come disuguaglianze di genere e lavoro informale.
L’ASviS mostra però in questo Rapporto come negli ultimi anni si sia consolidato un ecosistema di iniziative che promuovono l’integrazione degli SDGs nelle politiche locali, sia a livello internazionale, come l’High Level Political Forum dell’Onu, i Rapporti United cities and local governments (Uclg) l’espansione delle Voluntary Local e Subnational Reviews, sia a livello nazionale, con molte buone pratiche ampiamente raccolte nel documento dell’Alleanza.
Come stanno messi i nostri territori
Andando più nello specifico, le realtà locali procedono a velocità differenziata. Il Rapporto ASviS registra forti disuguaglianze territoriali, e se c’è chi (pochi) procede bene, molti dimostrano un’evoluzione “decisamente insoddisfacente” verso gli SDGs.
Per quanto riguarda Regioni, Province autonome e Città metropolitane, il quadro è questo: l’economia circolare registra un forte miglioramento; istruzione, parità di genere, energia e lavoro mostrano un miglioramento più contenuto (a parte in Valle d’Aosta, dove il lavoro peggiora); stabili agricoltura, salute, imprese, infrastrutture e innovazione, città e comunità; male povertà, acqua, disuguaglianze, vita sulla terra, giustizia e istituzioni.
Guardando agli indici compositi, si ritrova la consueta divergenza tra Centro-Nord e Mezzogiorno. Nelle regioni centrosettentrionali la maggior parte dei Goal presenta valori superiori a quelli medi nazionali, mentre nel Mezzogiorno prevalgono quelli inferiori. Fanno eccezione gli Obiettivi relativi a energia, economia circolare, vita sulla terra e giustizia e istituzioni, per i quali un buon numero di regioni del Mezzogiorno mostra livelli vicini o superiori a quelli nazionali.
Quindi, chi è che riuscirà a tagliare il traguardo al 2030? Sulla base delle tendenze degli ultimi anni, la Provincia autonoma di Trento, la Valle d’Aosta, la Liguria e l’Umbria possono centrare 12-13 obiettivi quantitativi su 29 (che corrispondono a circa il 43% del totale). Di contro, in 11 Regioni/Province autonome su 21 gli obiettivi raggiungibili sono meno di un terzo.
Gli obiettivi quantitativi appartenenti alla dimensione economica sono quelli messi meno peggio, con una quota di raggiungibilità del 41%. Situazione più problematica per le altre dimensioni: nella sfera sociale gli obiettivi raggiungibili sono poco più di un terzo (35%), mentre in quella ambientale poco più di un quarto (28%) e quelli istituzionali sono solo il 12%.
Numeri che si traducono in effetti sulle persone. Per esempio, nel Mezzogiorno la minore capacità dei Comuni di finanziare spesa corrente e gestire nuove infrastrutture significa servizi essenziali più deboli, in particolare per infanzia e sanità: i servizi educativi 0-3 anni coprono appena il 16,5% dei bambini e delle bambine (oltre il 30% nel Centro-Nord) e i posti letto per l’assistenza di lungo periodo sono tre ogni mille residenti, contro i dieci del Nord-Est. Oppure, le aree interne – il 60% del territorio nazionale, il 52% dei Comuni e oltre 13 milioni di abitanti – restano segnate da spopolamento, carenza di servizi e fragilità socioeconomica.
Le proposte dell’ASviS
Nonostante lo straordinario afflusso di risorse europee degli ultimi anni (con il Pnrr in testa), le disuguaglianze territoriali rimangono quindi profonde e abbastanza problematiche. Cosa fare, quindi?
Intanto, bisogna rilanciare le politiche di coesione territoriale. L’attuazione del Pnrr ha messo in pausa molte altre tipologie di interventi territoriali. La programmazione delle politiche di coesione 2021-2027, al suo quinto anno di attività, è giunta solo all’8% dei pagamenti. È quindi necessario accelerarne l’attività, per evitare il crollo degli investimenti al termine del Pnrr.
Poi, come già detto, bisogna intervenire sul divario tra regioni e sulla bassa crescita del reddito nazionale. “Siamo ormai un Paese in impoverimento strutturale”, si legge nel Rapporto ASviS. Per il reddito pro capite sono sotto la media europea ben 11 Regioni su 20, con il 45% degli abitanti, il 55% del territorio, il 51% di Comuni e Province. E secondo l’Istat, entro il 2043 il 92,6% dei Comuni ultraperiferici del Sud sarà a rischio spopolamento. Quindi c’è bisogno di una ristrutturazione che parta dalle disponibilità di risorse endogene, individuando percorsi originali di sviluppo su base territoriale, modulati secondo i principi dello sviluppo sostenibile.
Particolare attenzione bisogna poi rivolgere alle aree interne. È necessario semplificare il sistema di finanziamento e aumentare le risorse per l’assistenza tecnica (oggi solo al 5%), rafforzare la Cabina di regia per lo sviluppo delle aree interne come hub di coordinamento e condivisione di best practice, adottare indicatori di risultato per monitorare l’efficacia dei singoli interventi (come copertura della banda ultra larga o riduzione dell’ospedalizzazione evitabile).
Infine, c’è bisogno di combattere i fenomeni di gentrificazione ripensando le politiche abitative, preservare gli ecosistemi urbani integrandoli con quelli naturali (mettendo in pratica i principi della Nature restoration law), potenziare il ruolo delle città nei processi di decarbonizzazione, seguendo iniziative europee come “100 resilient cities” o “100 climate-neutral cities”.
Molto lavoro da fare, insomma. Ma quando si sa dove farlo si è già a metà dell’opera.
Fonte: Asvis.it