Acqua. Blue Book: +24% di investimenti su 2012 a 38,7 €/abitante

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ROMA – Investimenti realizzati in aumento del 24% rispetto al 2012, una crescita della percezione della qualita’ del servizio idrico, un gap infrastrutturale tra Nord e Sud che si mantiene elevato e la sfida dei cambiamenti climatici. Questo il quadro che emerge dal nuovo Blue Book – la monografia completa dei dati del Servizio idrico integrato – promosso da Utilitalia, realizzato dalla Fondazione Utilitatis con la collaborazione di ISTAT, presentato oggi, Mercoledì 30 ottobre, a Roma.

Con il trasferimento delle competenze di regolazione e controllo all’Autorita’ di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), gli investimenti realizzati hanno registrato una crescita costante arrivando a 38,7 euro ad abitante nel 2017, con un aumento del 24% negli ultimi 7 anni. Si tratta di un incremento che “sembra destinato a perdurare sia per la stabilita’ della disciplina tariffaria – che ha consolidato la fiducia del sistema finanziario nei confronti del settore -, sia per l’introduzione della disciplina sulla qualita’ tecnica (un sistema incentivante che prevede la verifica biennale dell’efficacia degli investimenti)”. L’impatto della regolazione sulla qualita’ tecnica ha fatto registrare una crescita della programmazione degli investimenti del 24,6% per il biennio in corso (2018-2019); in questo contesto gli investimenti pro capite realizzati nell’ultimo biennio si possono stimare in 44,6 euro/ab, dal momento che il tasso di realizzazione medio degli interventi programmati e’ stato nel 2017 di circa l’87%. “L’industria del servizio idrico integrato– commenta il presidente di Utilitatis, Federico Testa- si conferma come settore trainante delle filiere locali con un impatto positivo su scala nazionale: infatti rispetto ai tassi di variazione del PIL vicini allo zero nel periodo 2013-2018, il comparto ha marciato con un incremento medio annuo della spesa per investimenti del 5,5%“.

Per il presidente di Utilitalia, Giovanni Valotti, “questi dati dimostrano l’importante progresso compiuto dall’intero comparto. Per recuperare il gap infrastrutturale accumulato nei decenni passati sono necessari ingenti investimenti, il cui finanziamento e la cui concreta realizzazione sul piano tecnico possono essere assicurati solo da soggetti industriali qualificati”. 

Nel 2018 in Italia la spesa media mensile familiare per consumi di beni e servizi e’ di 2.571 euro mensili: per la fornitura di acqua nell’abitazione ogni famiglia ha speso in media 14,65 euro (era di 14,69 nel 2017). I livelli medi di spesa piu’ elevati si registrano nel Mezzogiorno (16,87 euro) e nel Centro (16,43); valori inferiori alla media si riscontrano invece nel Nord (12,41).

Confrontando la spesa media mensile familiare per la fornitura d’acqua con quella di altri servizi utilizzati – canone tv, rifiuti, telefonia, energia e gas – si osserva che ha un’incidenza contenuta e rappresenta solo il 3,4% del totale.

Il Bonus Idrico 2019, la misura minima prevista introdotta dal 2018 in aiuto alle utenze in disagio economico e sociale, e’ stato stimato per un’utenza di tre componenti mediamente di circa 30 euro/anno. Il tema della difficolta’ nel sostenimento della spesa e’ molto sentito, sia dalle utenze (il 4,6% delle famiglie ha dichiarato arretrati nel pagamento delle bollette) sia dai gestori, che specialmente nelle zone meridionali devono far fronte a mancati incassi del 14%.

Nel 2018 la percezione della qualita’ del servizio idrico risulta piuttosto elevata: le famiglie che sono allacciate alla rete idrica comunale (96% del totale), nell’84,6% dei casi, si ritengono molto o abbastanza soddisfatte. Le percentuali variano sensibilmente sul territorio: nel Nord le famiglie molto o abbastanza soddisfatte sono il 91,9%; nel Centro e nel Sud tale quota diminuisce di circa dieci punti, mentre nelle Isole scende al 67,0%. Soprattutto in queste ultime due aree geografiche, ci sono famiglie che si dichiarano poco o per niente soddisfatte. “Restano aree del Paese in forte ritardo– spiega il presidente di Utilitalia, Giovanni Valotti- soprattutto nel Mezzogiorno, dove sono ancora numerose le gestioni comunali ‘in economia’: cio’ si traduce in livelli di servizi e* di investimenti non adeguati, creando iniquita’ fra diverse parti del Paese. Potenziare il sistema delle imprese idriche nel Mezzogiorno e’ la via obbligata per migliorare la qualita’ dei servizi, con importanti impatti sull’occupazione e l’indotto locale. È importante non perdere questo treno: serve un grande piano per il Sud che punti a far decollare l’infrastrutturazione e a garantire un servizio universale a cui tutti i cittadini, indipendentemente dal luogo di nascita, hanno diritto”.

Nel settore idrico restano “elementi di criticita’ rispetto allo stato delle infrastrutture, dovute in prevalenza alla vetusta’ delle reti e degli impianti: le perdite di rete stimate nel 2016 sono superiori al 42%, mentre il 60% delle infrastrutture e’ stato messo in posa oltre 30 anni fa (percentuale che sale al 70% nei grandi centri urbani); il 25% di queste supera i 50 anni (arrivando al 40% nei grandi centri urbani)”. Di conseguenza, l’incremento di investimento pro capite previsto per il biennio 2018 -2019 per la riduzione delle dispersioni idriche imposto dalla disciplina ARERA e’ di 6 euro/abitante, mentre per il miglioramento delle acque di scarico (con livelli di qualita’ piu’ stringenti rispetto alla normativa vigente) e’ richiesto un sforzo aggiuntivo di 7,2 euro/ab. Gli interventi saranno anche “sempre piu’ correlati dall’esigenza di far fronte ai cambiamenti climatici e al manifestarsi di eventi naturali estremi: in tale direzione, il legislatore ha indirizzato dei primi passi, con fondi pubblici stanziati negli ultimi anni per importi superiori ai 2 miliardi di euro, di cui quasi la meta’ prevista negli ambiti del Piano Nazionale Invasi e del Piano Nazionale Acquedotti”.

Alla vetusta’ delle reti idriche e alla necessita’ di investimenti sugli acquedotti per limitare le perdite, si collega il fabbisogno di investimenti sulla “depurazione delle acque reflue”: circa l’11% dei cittadini, infatti, non e’ ancora raggiunto dal servizio di depurazione. La maggior parte di questi agglomerati sono concentrati nel Mezzogiorno e nelle Isole e si trovano in territori gestiti direttamente dagli enti locali e non attraverso affidamenti a gestori industriali. “La conseguenza – oltre ad incalcolabili danni per l’ambiente – e’ nelle sanzioni europee comminate all’Italia, colpevole di ritardi nell’applicazione delle regole sul trattamento delle acque reflue”, avverte il rapporto. Da questo punto di vista “bisogna comunque segnalare una positiva evoluzione: gli agglomerati relativi alla prima procedura di infrazione (2004/2034), per la quale la Corte di Giustizia ha gia’ irrogato una multa, si sono ridotti da 109 a 74; mentre per la seconda infrazione giunta a sentenza (2009/2034) sono stati sanati 27 siti irregolari su 41 (restano cosi’ 14 le aree su cui e’ necessario ancora intervenire); appare in miglioramento anche la situazione che riguarda il parere motivato (2059/2014), che ha visto passare il numero degli agglomerati in infrazione da 879 a 620″. Alle tre procedure si e’ recentemente aggiunta una quarta, la 2017/2181, ancora all’inizio dell’iter procedurale: la Commissione Europea ha inviato una lettera di costituzione in mora con cui richiede informazioni in merito ad ulteriori 276 agglomerati.

Nel settore idrico, “sul versante degli affidamenti, il processo risulta ancora non concluso, specialmente con riferimento al Sud“. In particolare, “13 bacini scontano situazioni di mancato/incompleto affidamento”. Tali casi “si concentrano nel Mezzogiorno (6 dei 9 ambiti siciliani, 4 dei cinque bacini campani, l’ambito regionale del Molise e l’ambito regionale della Calabria) e in una Regione del Nord (Valle d’Aosta)”.  Nei territori caratterizzati da affidamenti non conformi emergono “un’elevata frammentazione degli operatori e un considerevole numero di gestioni ‘in economia’”.

(Agenzia Dire)