All’Italia serve una strategia nazionale di ampio respiro per la gestione dei fanghi di depurazione, da attuarsi attraverso una roadmap al 2030. Per fare questo è necessario definire un quadro normativo chiaro e stabile che, contemplando le diverse possibilità di recupero dei fanghi, permetta di ricorrere anche alle risorse messe a disposizione dal Piano Nazionale di Recupero e Resilienza, che accede ai fondi del Next Generation EU (più noto come Recovery Fund). Nell’ambito della voce sulla transizione ecologica il Governo ha previsto nell’ultima bozza lo stanziamento di 15,3 miliardi di euro alla voce “Tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica”. Il tema è al centro dello studio “L’industria idrica e le sfide dell’economia circolare. La gestione sostenibile dei fanghi di depurazione”, elaborato da Althesys in collaborazione con Utilitalia, FISE Assoambiente, Acea, Cap, Hera, MM, Smat, Veolia e presentato nei giorni scorsi nel corso di un webinar.
“La gestione dei fanghi di depurazione è centrale per la chiusura dell’intero ciclo idrico – spiega l’economista Alessandro Marangoni – poiché più a fondo si toglie la sporcizia da scarichi e corsi d’acqua e più fanghi restano nel depuratore. Questi, tuttavia, sono una risorsa che, in una logica di economia circolare, possono essere recuperati, fornendo nutrienti all’agricoltura o producendo energia. Bisogna quindi evitare lo smaltimento in discarica e valorizzare le sinergie con gli altri settori, agricoltura ed energia, tracciando un piano a medio-lungo termine di gestione nazionale condivisa che, in un quadro normativo chiaro, consideri le diverse opzioni tecnologiche”.
I diversi riutilizzi dei fanghi
Purtroppo, questi materiali vengono in genere gettati in discarica oppure sono bruciati in inceneritori; solo una piccola parte viene recuperata. I modi con i quali i fanghi possono essere riutilizzati in agricoltura o con la valorizzazione energetica sono diversi; in particolare, l’impiego dei fanghi in agricoltura si è trovato a fronteggiare a più riprese, negli anni, incertezze normative, interventi giurisprudenziali e legislazioni regionali differenti, con forti impatti sulla gestione e i costi per le imprese idriche. Parallelamente, le destinazioni alternative all’agricoltura in Italia sono limitate da vari fattori: pochi impianti Waste to Energy per i fanghi, l’uso limitato nei cementifici, restrizioni per lo smaltimento in discarica. Tutto questo grava, in ultima istanza, sui cittadini, con maggiori costi e peggior qualità del servizio e dell’ambiente.
Numeri e statistiche
I fanghi da trattamento acque reflue urbane prodotti in Italia nel 2018 sono stati 3,1 milioni di tonnellate tal quale (Ispra), ma alcune stime arrivano a 3,8 milioni (Utilitalia). La produzione di fanghi è diversa tra le varie regioni italiane, essendo correlata alla presenza e qualità della depurazione. Il grado di copertura nazionale del servizio di depurazione è circa il 90%, ma se si considera la capacità degli impianti con il carico inquinante potenziale generabile nel territorio, la copertura scende al 57%. La situazione è eterogenea sul territorio: nelle regioni dove la depurazione è più efficiente si ha una maggior produzione di fanghi. In testa si trovano Lombardia (14%), Emilia-Romagna (12,2%), Veneto (12%) e Lazio (11,6%); in coda Sicilia, Calabria, Valle d’Aosta, Molise e Basilicata. Il costo di sistema della gestione dei fanghi è stimabile tra i 400 e i 520 milioni di euro, assumendo un mix delle varie modalità di gestione e una produzione nazionale tal quale intorno ai 4 milioni di tonnellate a regime.
Strategia al 2030
L’Italia anche in questo campo dispone dunque di una risorsa che non sa valorizzare. Lo studio traccia le linee di una strategia nazionale dell’industria idrica sui fanghi che si articola su più direttrici. Innanzitutto, bisogna definire un quadro normativo chiaro e stabile per l’utilizzo in agricoltura, che preveda un tavolo di coordinamento istituzionale normativo. La valorizzazione della qualità dei fanghi, che è fondamentale per mantenere il loro sbocco verso gli usi agricoli e una visione integrata idrico-waste-agricoltura che coinvolga l’intera filiera sono altri elementi chiave di questa strategia. Inoltre, la creazione di una rete di stakeholder che includa produttori, operatori, utilizzatori e imprese agricole di trasformazione; il ricorso alla termovalorizzazione, con impianti dedicati o destinati anche ad altri rifiuti, già molto diffusi in alcuni Paesi europei anche per il potenziale recupero del fosforo. Serve, nel complesso, un piano impiantistico nazionale che favorisca anche l’adozione di tecnologie innovative, con la sperimentazione e la ricerca di soluzioni avanzate di minimizzazione e di recupero dei fanghi o impianti per la produzione di biometano, e infine una programmazione regionale all’interno di indirizzi e linee guida definiti a livello nazionale.
Il percorso punta ad andare oltre la gestione delle emergenze periodiche, attraverso una visione condivisa tra tutti gli stakeholder e un adeguato periodo di transizione nel quale gli operatori possano individuare e realizzare, nell’ambito delle indicazioni nazionali e regionali, le soluzioni più adatte alla situazione impiantistica e al territorio.
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