End of waste biometano, ecco la proposta del Governo

PDFStampa

Gli effetti di un intero decreto ‘end of waste’ condensati nelle sole cinque righe di un comma, per sbloccare definitivamente e sull’intero territorio nazionale gli iter autorizzativi per gli impianti di produzione del biometano da rifiuti. Il comma in questione è il numero 2 e l’articolo è il 24 dello schema di decreto legislativo presentato dal governo alle Camere per recepire la direttiva europea 2018/2001 sulla promozione delle energie rinnovabili, meglio conosciuta come RED II. Il passaggio mette definitivamente nero su bianco che i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto per il biometano sono quelli riportati nel decreto incentivi del 2018 e nelle norme tecniche di riferimento e che quindi Regioni e Province non hanno motivo di attendere l’emanazione di un decreto ‘end of waste’ ad hoc per autorizzare gli impianti. Appena cinque righe, che puntano a mettere fine a una querelle burocratica che negli ultimi tre anni ha rallentato gli investimenti in nuovi impianti per la produzione del carburante verde a partire da rifiuti organici o da fanghi da depurazione.

All’indomani della pubblicazione del decreto interministeriale che nel marzo 2018 ha sbloccato gli incentivi per il cugino sostenibile del metano fossile (che lo schema di decreto proposto dal governo rinnova fino a giugno 2026) le richieste di autorizzazione per l’apertura di nuovi insediamenti si sono andate moltiplicando, com’era prevedibile, ma molte sono state respinte al mittente o messe in congelatore dagli enti competenti perché, sostenevano Regioni e Province, in mancanza di un apposito decreto ‘end of waste’ non era possibile stabilire quando l’esito del trattamento di umido e fanghi, ovvero il gas generato dalla loro fermentazione, perde la qualifica di rifiuto e diventa un prodotto a tutti gli effetti, da rimettere nella rete nazionale e utilizzare ad esempio per l’autotrazione. Tutto questo nonostante il biometano da rifiuti sia sotto il profilo fisico-chimico in tutto e per tutto corrispondente al suo omologo fossile. Un approccio estremamente prudenziale, giustificato molto probabilmente dal fatto che solo un mese prima dell’adozione del decreto sugli incentivi una sentenza del Consiglio di Stato aveva stabilito come non spettasse agli enti locali rilasciare autorizzazioni al recupero in assenza di decreti nazionali o di regolamenti Ue sulla cessazione della qualifica di rifiuto. Possibilità che sarebbe stata reintrodotta solo un anno più tardi, con un controverso correttivo del governo allora in carica sul quale ancora oggi si continua a dibattere.

Nel frattempo, qualcuno è riuscito a trovare una soluzione all’impasse. Già a partire dal 2019 Regioni come Lombardia, Veneto, Lazio e prima fra tutte la Città Metropolitana di Milano hanno adottato specifiche linee di indirizzo nelle quali si chiariva che per sciogliere il nodo ‘end of waste’ e autorizzare gli impianti avrebbero fatto riferimento proprio al decreto interministeriale del 2018, che oltre a disciplinare l’erogazione degli incentivi all’articolo 3 stabilisce infatti anche i parametri per misurare “la qualità e sostenibilità del biometano”, facendo a sua volta riferimento alle norme tecniche UNI/TS 11567 e UNI/TR 11537:2016. Una lettura che negli ultimi tre anni ha fatto da apripista al rilascio dei nulla osta anche in Regioni che non sono intervenute con una propria disciplina sulla materia, tanto che oggi sono 13 gli impianti che producono biometano da rifiuti e 2 quelli alimentati a fanghi da depurazione, con una capacità di circa 160 milioni di metri cubi l’anno. Ma in tanti altri casi gli iter autorizzativi restano ancora congelati in attesa di un intervento del governo. Che proprio per questo ha scelto di fare propria la lettura della Città Metropolitana di Milano, inserendola nello schema di decreto di recepimento della RED II con l’obiettivo di darle forza di legge.

Un intervento che conferma ancora una volta il ruolo centrale del biometano nelle politiche energetiche del governo guidato da Mario Draghi, che nel Piano nazionale di ripresa e resilienza punta con decisione alla riconversione dei 1600 impianti a biogas già operativi e alla costruzione di nuove strutture, destinando al revamping degli impianti a biomasse e scarti agricoli ben 1,9 miliardi di euro, mentre agli impianti per il recupero dei rifiuti andrà una fetta degli 1,5 miliardi appostati sul capitolo sull’economia circolare. L’obiettivo è quello di andare oltre il target del miliardo di metri cubi di metano verde al 2030 fissato dal Pniec, il Piano nazionale energia e clima, e puntare al greening della rete gas per circa 2,5 miliardi di metri cubi. Ecco perchè il settore è anche tra quelli più interessati dalle misure di snellimento burocratico contenute nel decreto “semplificazioni bis” convertito in legge dal Parlamento, che oltre ad inserire gli impianti di biometano nell’elenco delle opere per le quali è previsto un regime autorizzativo più spedito ha anche introdotto una serie di semplificazioni che faciliteranno la costruzione delle opere necessarie all’immissione in rete. Tra Pnrr e decreto incentivi, insomma, il cugino verde del metano si candida a pieno titolo a giocare da protagonista assoluto nella partita della decarbonizzazione.

(Articolo tratto da Riciclanews.it)