Alla fine del 2019 la commissione europea ha introdotto una serie di proposte per permettere all’Europa di raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. La maggior parte dei traguardi individuati in questo insieme di strategie e piani d’azione ha come anno di riferimento il 2030. A che punto sono i paesi membri oggi?
Openpolis lo ha ricostruito insieme ad altre 7 redazioni che fanno parte dello European data journalism network (Edjnet), sotto la direzione di Deutsche Welle, che ha identificato gli obiettivi quantificabili previsti dall’Ue e i relativi indicatori. Allo scopo di misurare lo stato di avanzamento dei vari paesi e le loro prospettive nel futuro prossimo.
Gli obiettivi per il 2030 previsti dal green deal
Il green deal (patto verde) europeo è il nome dato all’insieme di strategie e piani d’azione che la commissione europea ha proposto per affrontare la sfida del cambiamento climatico. Il programma prevede una serie di direttive, regolamenti e iniziative dirette a vari settori colpiti o responsabili dei cambiamenti climatici, e prevede investimenti pari ad almeno mille miliardi di euro. Risorse provenienti in buona parte dal bilancio a lungo termine dell’Unione, ma anche, in quantità consistenti, da privati.
Inoltre il piano non è privo di criticità. Come ha evidenziato Greenpeace, gli obiettivi fissati in sede europea potrebbero non essere sufficienti per raggiungere la neutralità climatica. Il che sarebbe ulteriormente complicato dal fatto che l’obiettivo portante del green deal, oltre alla sostenibilità, è la crescita economica. Come sottolinea anche l’agenzia europea per il clima (Eea, acronimo dell’inglese European environmental agency), la crescita è infatti strettamente connessa ad aumenti nella produzione, nel consumo e nell’utilizzo di risorse. E quindi inevitabilmente ha effetti dannosi sull’ambiente e sulla salute umana.
D’altro canto, anche qualora gli obiettivi fossero di per sé sufficienti a ridurre in modo efficace l’impatto ambientale, l’Europa non sembra essere sulla strada giusta per raggiungerli entro i tempi prestabiliti.
Per svolgere questa ricerca sullo stato di avanzamento del patto verde europeo, Deutsche Welle ha identificato 7 metriche di base, divise per settore e corrispondenti ai principali obiettivi individuati dalla commissione stessa. La prima consiste in un indicatore generico, relativo alle emissioni, misurate in tonnellate di Co2 equivalente. Due riguardano invece l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili e rilevano da una parte la quota sul consumo finale e dall’altra la capacità degli impianti. Un altro indicatore concerne gli edifici, in particolare le installazioni di pompe di calore. Infine, le emissioni delle auto per il settore dei trasporti, l’uso di pesticidi per l’agricoltura e la produzione di idrogeno per l’industria.
Gli indicatori relativi alle pompe di calore e alla potenza degli impianti di produzione di energia eolica e solare non sono ufficiali, ma ricostruiti sulla base del presupposto di non superare i 1,5 gradi centigradi di variazione complessiva delle temperature rispetto ai livelli pre-industriali. Mentre per la produzione di idrogeno ancora non sono disponibili i dati.
L’obiettivo di riduzione delle emissioni
Uno degli aspetti più problematici dell’impatto dell’uomo sulla Terra è l’emissione dei gas serra. Si tratta di un insieme di agenti inquinanti che comportano un’alterazione degli equilibri degli ecosistemi, danneggiando chi li abita. Per questa ragione, Deutsche Welle ha identificato i dati sulle emissioni complessive come il parametro più significativo per monitorare l’avanzamento dell’Europa rispetto al piano.
L’ultima proposta avanzata dalla commissione europea è quella relativa alla riduzione delle emissioni del 57% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Questo vorrebbe dire un consumo pari a 2mila megatone (mt) di Co2 equivalente, rispetto alle 4.687 registrate nel 1990. Stando ai dati più recenti, relativi al 2021, l’Ue ha ridotto le sue emissioni totali del 29,3% rispetto a 33 anni fa.
Secondo l’Eea, con le misure vigenti si arriverebbe, nel 2030, a 3.109 mt. Quindi ben mille mt in più rispetto all’obiettivo (2mila mt) e con un calo pari ad appena il 33,7% rispetto ai livelli del 1990. Una prospettiva che vede quindi l’Europa ben lontana dal traguardo prefissato. Ma andiamo ad analizzare i dati disaggregati per paese (disponibili al 2020), per vedere quanto la situazione è migliorata nei singoli stati membri. Il quadro che ne emerge è piuttosto eterogeneo.
Il calo delle emissioni nei Paesi UE
Le emissioni di gas serra nei paesi membri dell’UE tra1990 e 2020
In tutti i paesi tranne 3 (Cipro, Austria e Irlanda) le emissioni di gas serra nell’atmosfera sono diminuite tra il 1990 e il 2020. In alcuni casi il calo è stato più marcato, per esempio a Malta dove ha superato il 90% o in Svezia dove ha sfiorato l’80%. Nei paesi più grandi e popolosi del continente la riduzione è stata più contenuta: si è attestata al 43% in Germania, al 32% in Italia, al 27% in Francia e ad appena il 5% in Spagna.
È importante tuttavia sottolineare che i dati del 2020 possono essere fuorvianti. Si è trattato infatti dell’anno del lockdown per l’emergenza sanitaria da Covid-19, durante il quale molte attività che comportavano produzione o consumo di energia si sono temporaneamente fermate. Nel complesso quindi il calo è modesto e ben lontano dagli obiettivi posti dal green deal europeo. Se infatti andiamo ad analizzare la variazione tra 1990 e 2019, anziché 2020, vediamo che anche in Spagna si è registrato un aumento delle emissioni di gas serra (+14%) e che invece sono solo 3 i paesi dove il calo ha superato il 57%. Parliamo di Estonia, Romania e Lituania, con riduzioni oltre il 60%.
L’Italia e gli obiettivi del patto verde europeo
Nel nostro paese le emissioni di gas serra sono diminuite del 32% nel 2020 rispetto ai livelli del 1990. Del 25% se invece facciamo riferimento al 2019. Ma come si pone l’Italia rispetto agli altri obiettivi individuati?
Per quanto riguarda le energie rinnovabili, nel 2022 la commissione ha posto l’obiettivo di raggiungere, entro il 2030, un contributo delle energie rinnovabili pari al 45% del totale dei consumi finali. A oggi in Italia la quota è pari al 19%, secondo Eurostat. Appena 6 punti percentuali in più rispetto al 2010 e lievemente al di sotto della media Ue, pari quasi al 22%.
Sempre in ambito di energia pulita, un altro elemento è la potenza degli impianti solari ed eolici. In questa ricerca Deutsche Welle ha fatto riferimento alle stime e previsioni del centro studi Ember. L’obiettivo non ufficiale (perché la commissione non l’ha esplicitamente formulato) sarebbe quello di raggiungere, entro il 2030, una potenza dell’eolico pari a 476 Gw e del solare pari a 600 Gw.
Agli ultimi dati del 2021 l’Europa aveva raggiunto 186,3 Gw di energia eolica e 110,7 Gw di energia solare. Il contributo italiano era pari rispettivamente a 11,3 Gw per l’eolico e a 7,7 Gw per il solare. La potenza dell’eolico nel nostro paese è aumentata di circa 3 Gw tra 2010 e 2021. Mentre quella solare si è più che dimezzata, passando da 16,8 Gw nel 2010 a 7,7 nel 2021 (e soprattutto rispetto al 2020, quando era arrivata a 21,7 Gw).
Per il settore dei trasporti, uno dei principali responsabili dell’inquinamento atmosferico, l’obiettivo è di dimezzare le emissioni rispetto ai livelli del 2021. Si tratta infatti dell’ultimo traguardo proposto dalla commissione, nel 2022.
Per poi azzerarle del tutto entro il 2035. Uno dei modi per ridurre le emissioni nel settore dei trasporti, oltre a promuovere l’utilizzo di mezzi pubblici, è la diffusione delle auto a basse emissioni. Nonostante anche queste presentino degli ostacoli a livello ambientale (come la costruzione e lo smaltimento delle batterie in litio) e infrastrutturale. C'è poi il problema della scarsa disponibilità di colonnine di ricarica nel nostro paese. Ormai la diffusione capillare di veicoli a basse emissioni e la totale rimozione di quelli inquinanti sembra essere tuttavia un passaggio obbligato nell’ottica della transizione ecologica. Ma in Italia c’è ancora molta strada da fare da questo punto di vista.
Stando all’ultimo aggiornamento di Istat sugli ambienti urbani, mediamente nei comuni capoluogo e nelle città metropolitane la diffusione di questo tipo di veicolo è ancora minoritaria rispetto alle auto a maggior potenziale inquinante.
Una quota che comunque è aumentata rispetto a 5 anni fa, quando si attestava all’8,9%. Sono notevoli le differenze a livello geografico. Nel nord-est del paese infatti la quota sfiora il 19%, mentre nelle isole non raggiunge il 7%.
I comuni capoluogo in cui la diffusione delle auto a basse emissioni supera il 20% si trovano tutti in Emilia-Romagna e nelle Marche, ad eccezione di Rovigo (in Veneto). Prima tra tutte Macerata con il 27,1%.
Le quote più basse si registrano invece nelle isole (in particolare in Sardegna, dove tutti i comuni capoluogo hanno incidenza inferiore al 6%), e sulle aree più vicine all’arco alpino. Nel settentrione, si riportano valori particolarmente bassi nei capoluoghi del Friuli-Venezia Giulia.
(Fonte: Openpolis)