Il governo ritiri la proposta di modifica alla normativa nazionale sull’utilizzo dei fanghi da depurazione in agricoltura e lavori a una revisione organica della disciplina. Il rischio, altrimenti, è quello di un “sostanziale blocco del loro utilizzo” nella forma di fertilizzante in applicazioni su terreni e colture. È l’appello di Utilitalia, federazione nazionale delle utility di acqua, ambiente ed energia, che in una nota lancia l’allarme per i potenziali impatti legati allo schema di emendamento al decreto legislativo 99 del 1992 inviato dal Ministero dell’Ambiente alla Commissione europea per la valutazione dei profili concorrenziali.
Secondo il MASE, infatti, l’attuale disciplina “nulla dispone in merito agli indicatori quantitativi il cui rispetto consente di valutare la riduzione rilevante della fermentescibilità”, si legge nell’analisi di impatto allegata all’emendamento. Un vulnus figlio dei “limiti tecnologici dell’epoca della stesura del decreto legislativo”, che al momento impedisce alla disciplina di legge di “garantire che l’utilizzazione dei fanghi di depurazione trattati in agricoltura avvenga nel rispetto delle esigenze igienico-sanitarie, riducendo gli impatti olfattivi dei fanghi medesimi”, scrive il Ministero.
Per questo, nell’emendamento inviato a Bruxelles, il MASE propone di integrare la normativa di riferimento con specifici parametri per la misurazione della stabilità dei fanghi, mutuandoli direttamente dal regolamento europeo sulla qualità dei fertilizzanti, e nello specifico dai passaggi dedicati a compost e digestato. Questo anche perché i fanghi da depurazione sono esclusi dall’elenco dei materiali contemplati dalla stessa disciplina europea presa a riferimento dal Ministero.
Un intervento che, scrive Utilitalia, pur rispondendo al presupposto “del tutto condivisibile” di minimizzare l’impatto odorigeno dei fanghi distribuiti al suolo, sotto il profilo tecnico aprirebbe scenari di grande incertezza, data la prevista “applicazione di parametri e metodiche, contemplate dal regolamento 2019/1009/UE sui fertilizzanti, a matrici differenti da quelle previste nel regolamento stesso”. Una scelta “limitata e potenzialmente fuorviante”, che “senza una preventiva indagine scientifica” attribuisce in maniera automatica “valori e metodi specifici di determinazione della stabilità all’intera varietà di trattamenti attuabili sui fanghi”. Cosa che, chiarisce Utilitalia, “può fornire dati fortemente dissonanti, pur in presenza di materiale adeguatamente stabilizzato”. Il rischio è che anche chi fino a oggi ha trattato adeguatamente i fanghi per l’utilizzo in agricoltura possa ritrovarsi escluso dal mercato per il mancato rispetto dei nuovi parametri.
Un intervento “fortemente distorsivo della concorrenza”, che potrebbe condurre “a un sostanziale blocco” del sistema, scrive perciò Utilitalia. Contro la proposta di modifica, oltre alla federazione, si è espressa anche l’associazione europea dei gestori idrici EurEau, secondo cui l’iniziativa “avrà effetti negativi sulla concorrenza, sulle dinamiche di mercato, sulla dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche, sulla sicurezza alimentare e sulla sostenibilità operativa”. Critiche anche da EFAR, la federazione europea del riciclo agricolo, per il potenziale “effetto di forte distorsione della concorrenza in quanto le aziende, per il solo fatto di aver utilizzato fino ad ora trattamenti del tutto legali ed efficaci, potrebbero trovarsi immediatamente escluse dal mercato”.
Danni economici da sommare a quelli ambientali. Così si “vanifica una modalità di gestione che non solo è conforme alla normativa europea e italiana, ma anche preferibile in termini ambientali e di economia circolare“, scrive nelle osservazioni inviate alla Ue il laboratorio Centro di Ricerche Ecologiche, allegando una serie di analisi che dimostrano come “i fanghi trattati in uscita dagli impianti di depurazione acque reflue conformi a tutte le attuali normative europee, nazionali e regionali destinabili a beneficio dell’agricoltura – e quindi con valori in ingresso ai nostri impianti di trattamento fanghi per il recupero agricolo – non rispettano mai i limiti proposti”. Il rischio, aggiunge il CRE, è quello di “una paralisi diffusa nel settore”.
L’allarme era stato lanciato nei giorni scorsi dalla federazione delle utility in occasione del Green Med 2025 di Napoli. “Un’iniziativa un po’ estemporanea del nostro governo, che determinerebbe l’impossibilità di utilizzare i fanghi in Italia e solo in Italia – aveva commentato il direttore generale di Utilitalia Annamaria Barrile – siamo tutti d’accordo che i fanghi per l’agricoltura debbano essere ineccepibili, da un punto di vista della salute pubblica, della salute dei suoli della salubrità del prodotto, ma non è con una mannaia che si arriva a questo risultato. Speriamo che il governo faccia un passo indietro e torni a un approccio dialogante sulla revisione della normativa”.
L’appello di Utilitalia è a ritirare l’emendamento e avviare un confronto con gli operatori per rivedere, in modo organico, la disciplina di riferimento. Secondo Ispra, degli oltre 3 milioni di tonnellate di fanghi da depurazione delle acque reflue prodotti in Italia ogni anno, ancora oggi circa la metà viene avviata a operazioni di smaltimento. Il problema alla radice resta l’inadeguatezza del decreto legislativo 99 del 1992, vecchio di oltre trent’anni, non più adatto a cogliere le opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica né tanto meno in linea con le principali sfide economiche e ambientali: dall’impoverimento dei suoli alle turbolenze sul mercato dei fertilizzanti di sintesi. Per questo “una riforma non solo è urgente ma strategica”, aveva chiarito il presidente di Utilitalia Filippo Brandolini al Green Med 2025.
Stando a una recente indagine realizzata dalla federazione, la quasi totalità dei fanghi prodotti in Italia ha evidenziato la matrice organica ‘naturale’ con presenza di carbonio organico (quello che fa bene ai suoli) superiore al 33% nel 50% dei fanghi analizzati, concentrazioni di azoto e fosforo tali da garantire “abbondante copertura delle necessità colturali dei due elementi fertilizzanti” e concentrazioni di inquinanti, come metalli, IPA o PCB, ampiamente al di sotto dei parametri di legge. Elementi che gli operatori hanno già portato all’attenzione del Parlamento, nell’ambito dei lavori preparatori per la legge delega necessaria a dare avvio formale all’iter della riforma. Un tentativo era già stato fatto nel 2018, ma si è arenato per il mancato accordo tra governo e regioni.
La materia insomma resta delicata. In questo scenario, l’emendamento proposto dal MASE, e le contestazioni che lo stanno accogliendo, potrebbero non essere il miglior viatico per la riscrittura della disciplina. Lo ‘standstill’ per le verifiche di concorrenzialità da parte dell’Ue durerà fino al 30 giugno. Entro quella data la Commissione dovrà esprimersi sulla legittimità o meno della proposta italiana che, in caso di silenzio da parte di Bruxelles, potrà essere ufficialmente adottata dal Ministero dell’Ambiente.
(Articolo di Luigi Palumbo pubblicato su Ricicla News)