Nozione di controllo pubblico e compensi agli amministratori: le ultime novità

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Il tema del controllo nelle società partecipate continua a fa discutere. Dopo la delibera 16/2019 del 22 maggio scorso (vedi articolo), una nuova pronuncia (la n° 11/2019) della Corte dei Conti a sezioni riunite prova a mettere un punto fermo sull’interpretazione della nozione di controllo pubblico e di conseguenza, sull’assoggettamento delle società partecipate alle prescrizioni del TUSP.

Di fatto, questa nuova pronuncia, contraddice la precedente (assunta però in sede giurisdizionale e dunque riferita ad un caso specifico), stabilendo che per avere controllo pubblico è sufficiente vi sia una maggioranza pubblica, a meno che, nel caso di società mista, non si dimostri il contrario con statuto e patti parasociali. Per le sezioni riunite dunque, “possono essere qualificate come società a controllo pubblico quelle in cui una o più amministrazioni dispongono della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria (…), ma questo principio può essere rivisto quando, nonostante la maggioranza pubblica delle quote, siano i soci privati ad avere un’influenza dominante, daprovarsi sulla base di patti parasociali o specifiche clausole contrattuali“.

La nuova pronuncia della Corte dei Conti offre dunque un’interpretazione più ampia ed estensiva della nozione di controllo pubblico ed allarga la platea delle società che rientrano nel perimetro di applicazione del Tusp, ma la verifica va fatta caso per caso, non vi sono automatismi.

COMPENSI AMMINISTRATORI

A fine maggio, il Ministero dell’Economia ha definito il decreto attuativo del TUSP relativo alla definizione dei compensi degli amministratori e dirigenti di società partecipate. Il testo del decreto non è ancora noto, dal momento che, prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, serve l’intesa in Conferenza Unificata (oltre al parere delle commissioni parlamentari competenti), dove però il tema non è ancora stato discusso.

Secondo quanto riportato dal Quotidiano degli Enti Locali, le società verrebbero suddivise in cinque fasce ( a seconda di valore della produzione, attivo patrimoniale e numero dei dipendenti), ognuna caratterizzata da un diverso tetto dei compensi, con il massimale stabilito in 240 mila euro lordi, che si dimezza a 120 mila per le società più piccole e solo per le figure apicali amministratore unico o delegato e dirigenti). Per gli altri componenti del Cda e per i collegi sindacali i numeri sono ancora più “leggeri“: il presidente del collegio sindacale guadagnerà al massimo dai 10 mila ai 30 mila euro; dai 15 ai 35 mila per i presidenti di cda e dai 10 ai 23 mila per gli altri componenti. Per amministratori delegati e dirigenti, almeno il 30% della busta paga deve essere ancorata alla parte variabile.

Nelle more dell’emanazione di questo decreto, la struttura di monitoraggio  e controllo del MEF ha pubblicato recentemente un orientamento, il quale afferma, in pratica,  che fino all’adozione del Decreto del Mef, resta tassativo il limite dell’80% sul costo 2013 e cioè il  vincolo indicato dall’art. 4, comma 4, del Dl. n. 95/2012, per cui “il costo annuale sostenuto per i compensi degli Amministratori di tali Società, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l’80% del costo complessivamente sostenuto nell’anno 2013”.

Inoltre, detto limite si applica agli Organi di amministrazione di tutte le Società a controllo pubblico, come definite dall’art. 2, comma 1, lett. m), del Tusp, e non solo nei confronti delle Società strumentali, a cui inizialmente si riferiva l’intero art. 4 del Dl. n. 95/2012.

Non rientrano, tra le componenti del compenso, i rimborsi spese specificamente documentati, nonché quelli determinati in misura forfettaria ma aventi carattere meramente restitutorio, in relazione all’espletamento di specifici incarichi.