La ricerca, presentata nel corso dell’ultimo Forum di Cernobbio, propone una gap analysis con i benchmark europei nell’ambito di tre settori strategici: Energia, Ambiente e Ciclo Idrico, e mette in luce i divari esistenti tra l’Italia (e i suoi territori) e i best performer, analizzando il contributo chiave che le multiutility possono assicurare per colmarli, favorendo una transizione sostenibile.
Le multiutility, alla luce del loro ruolo per lo sviluppo sostenibile dei territori, potranno agire da “catalizzatori” degli investimenti europei. Infatti, la ripresa economica nella fase post-Covid vede un ruolo strategico delle Istituzioni europee, in primis grazie ai finanziamenti approvati tramite il piano Next Generation EU, con una dotazione complessiva pari a 750 miliardi di Euro.
“Le multiutility sono una leva chiave per dispiegare il Green Deal e attivare investimenti in infrastrutture virtuose utili per il Paese. Le imprese devono però avere un ruolo proattivo nello sviluppo di progettualità concrete per attrarre i finanziamenti europei“, afferma Marco Patuano, Presidente di A2A. “Ci sarà una grande mobilitazione di risorse. Per poter sfruttare a pieno questo potenziale è quanto mai necessario prevedere un framework regolatorio e operativo chiaro che consenta alle multiutility di investire efficacemente nelle direzioni indicate da Next Generation EU e in coerenza con gli obiettivi del Paese.”
Alla luce della analisi risulta fondamentale perseguire meccanismi di confronto strutturale tra pubblico e privato che siano funzionali all’individuazione delle progettualità più importanti e del contributo di investimenti attivabile dai soggetti privati per sfruttare il volano di Next Generation EU.
“Il report analizza come nei settori dell’energia, della gestione dei rifiuti e del Ciclo Idrico, l’Italia riscontri un gap rilevante rispetto ai Paesi europei da colmare con urgenza, abbinato a un quadro disomogeneo a livello territoriale“. Ha commentato Renato Mazzoncini, Amministrato Delegato di A2A. “L’obiettivo di questo studio è proprio quello di individuare le aree di miglioramento, per poter proporre e realizzare progetti concreti, che siano in grado di attrarre le importanti risorse messe a disposizione dal recovery fund. Credo che in uno scenario nazionale ed europeo caratterizzato dalle forti differenze nella gestione di servizi ad alto impatto sulla qualità della vita delle persone il ruolo delle multiutility sia sempre più centrale.”
Partendo dal pilastro Energia, l’analisi evidenzia che, con il trend degli ultimi 5 anni, l’Italia non raggiungerà i propri obiettivi di rinnovabili nei consumi finali di energia fissati nel Piano Energia e Clima al 2030, con un gap di oltre 7 punti percentuali. Aumentare la potenza installata rinnovabile nella generazione elettrica è fondamentale per raggiungere il target, ma esiste ad oggi un rilevante gap impiantistico: ai ritmi attuali, il gap di potenza installata sarà di circa 2.200 MW al 2025 e di circa 2.400 MW al 2030 per l’eolico e addirittura di 3.700 MW al 2025 e di oltre 23.000 MW al 2030 per il fotovoltaico. Tale ritardo è associabile a iter autorizzativi lunghi e complessi (in alcuni casi concreti gli impianti di grandi dimensioni hanno richiesto fino a 8 anni).
Considerando il pilastro Ambiente, lo studio mette in evidenza che l’Italia è ancora lontana dalle migliori esperienze europee per quanto riguarda la gestione dei rifiuti. Molti territori italiani sono lontani dagli obiettivi vincolanti del 10% dei rifiuti urbani conferiti in discarica al 2035 (con un tasso di conferimento medio nazionale del 21,5%) e del 70% dei rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata al 2030 (con un valore medio nazione pari a 58,2%), fissati dal Circular Economy Package della Commissione Europea. Con un tasso di riciclo dei rifiuti urbani pari al 49,8%, l’Italia è in linea con la media dell’Area Euro pari a 50,3% anche se un ulteriore sforzo è necessario per raggiungere i best perfomer europei (Germania 67,3%, Slovenia 58,9% e Austria 57,7%). La raccolta differenziata e la massimizzazione del riciclo devono essere la priorità a cui tendere; tutto ciò che non è recupero di materia deve essere quantomeno recuperato come energia per minimizzare il conferimento in discarica. L’Italia ha un tasso di recupero energetico pari al 19,1% e rimane indietro rispetto ai benchmark europei (Finlandia, Svezia e Danimarca) che registrano un valore medio del 53,1%.
L’analisi mette in evidenza ambiti di miglioramento anche per il ciclo idrico. L’Italia ha una rete infrastrutturale obsoleta (60% delle infrastrutture ha più di 30 anni e il 25% più di 50 anni) e la metà dell’acqua distribuita viene dispersa. Il gap impiantistico caratterizza anche la capacità di depurare e trattare le acque reflue; l’Italia, infatti, è soggetta a 4 procedimenti di infrazione, con 2 sentenze confermate, che si stima costeranno non meno di 500 milioni di Euro fino al 2024. Tali deficit scontano una carenza di investimenti nel settore idrico. Con 40 Euro per abitante all’anno (rispetto a una media europea annua di 100 Euro per abitante), l’Italia si posiziona al terzultimo posto nella classifica europea per investimenti nel settore, davanti solo a Malta e Romania. Inoltre, il livello attuale della tariffa (1,87 Euro/m3, la metà rispetto a quella francese e il 40% in meno rispetto a quella tedesca) non permette di coprire il gap infrastrutturale e deresponsabilizza il consumo, in un Paese già fortemente idrovoro (4° Paese in Europa per consumi di acqua pro-capite, con 220 litri al giorno per abitante).
“Il nuovo quadro di riferimento europeo – dal Green Deal al meccanismo Next Generation EU– rappresenta una grande opportunità per colmare i gap esistenti e rilanciare lo sviluppo sostenibile dei territori italiani”, dichiara Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti. “Dobbiamo colmare con urgenza i gap dei territori italiani. 18 Regioni su 20 satureranno la propria capacità di smaltimento in discarica entro il 2025 e, di queste, 13 Regioni la satureranno già entro il 2020. Anche il ciclo idrico ha ampi spazi di ottimizzazione, con una rete infrastrutturale obsoleta. Con il 47,9% dell’acqua prelevata dispersa lungo la rete, più del doppio rispetto alla media europea, siamo all’ultimo posto nella classifica europea.”
La possibilità di potenziare e realizzare nuovi impianti è influenzata anche dal fenomeno NIMBY (“Not In My Backyard”) che indica la preferenza a localizzare impianti in luoghi distanti dalla propria quotidianità, negandone la realizzazione o frenandone lo sviluppo. Ad oggi, sono 317 le contestazioni aperte con una marcata incidenza per il comparto energetico e quello dei rifiuti. In questo senso, lo studio ribadisce l’importanza di estendere i meccanismi partecipativi esistenti a livello territoriale, al fine di co-progettare l’opera per renderla aderente alle esigenze e accettata dai territori.
(comunicato Ambrosetti)
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