Settore rifiuti in Italia: fatturato da 10 miliardi e oltre 95 mila occupati

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ROMA – Il settore rifiuti in Italia si sta avviando verso una serie di riforme strutturali ma restano ancora tante difficoltà da superare, soprattutto gli investimenti per fronteggiare il fabbisogno impiantistico, l’abbattimento dei tempi e lo snellimento delle procedure autorizzative, l’accettazione sociale, il processo di governance locale e il superamento della frammentazione gestionale. Questa la fotografia scattata dal Green book 2020, il rapporto sul settore dei rifiuti urbani in Italia a cura della Fondazione Utilitatis e promosso da Utilitalia, presentato martedì 13 ottobre a Roma.

In questa ottava edizione – in cui si parla dello stato dell’arte della gestione del ciclo dei rifiuti urbani, attraverso una suddivisione in tre sezioni (contesto normativo; modelli di governance, operatori e spesa delle famiglie; osservatorio gare) – si evidenzia come (dato 2018) la produzione di rifiuti urbani e assimilati ammonti a circa 30 milioni di tonnellate all’anno, mentre i rifiuti speciali si attestano a 130 milioni di tonnellate. L’Italia ha un tasso di riciclaggio dei rifiuti urbani compreso tra il 45,2% e il 50,8%, comunque al di sopra della media europea del 47%. Il conferimento in discarica arriva invece al 22%.

L’intero comparto ha un fatturato di oltre 10 miliardi di euro, in gran parte derivato dalla tariffa rifiuti, ed un numero di addetti che supera le 95mila unità. Nonostante le criticità emerse in fase di lockdown, il servizio di gestione ha continuato a garantire pulizia e salute pubblica, e, insieme agli altri servizi essenziali a rilevanza economica, può rappresentare uno dei settori in grado di incidere positivamente sul rilancio dell’economia nazionale. Alcune stime – elaborate da Utilitalia – prevedono nei prossimi anni un fabbisogno di investimenti per circa 8 miliardi di euro, necessari per la realizzazione di impianti, per introdurre la tariffa puntuale a livello nazionale e incrementare la raccolta differenziata sia nelle quantità che nella qualità, e in grado di traguardare gli obiettivi del pacchetto direttive europee “economia circolare”.

La gestione dei rifiuti urbani rappresenta circa un quarto delle spese correnti dei Comuni italiani e nella maggior parte dei casi il servizio è finanziato con un tributo locale, la tassa sui rifiuti (Tari). Nel nostro Paese il passaggio alla tariffa puntuale ha interessato soltanto il 10% circa dei Comuni. Un contributo del Centro Studi di Banca d’Italia (condotto su oltre 6.100 Comuni) offre un’analisi approfondita sulla tariffazione puntuale. Negli 800 Comuni in cui è stata introdotta la tariffazione puntuale, tipicamente applicata in contesti con raccolte differenziate molto evolute e con un’elevata qualità del servizio, la produzione di rifiuto residuo verrebbe sostanzialmente dimezzata, con un risparmio complessivo sui costi del servizio che viene valutato in un ordine compreso tra il 10 e il 20% all’anno.

Sul fronte gestionale, il settore si contraddistingue per l’elevata dispersione sia orizzontale, con un elevato numero di operatori, sia verticale, con la presenza di tanti gestori specializzati nelle fasi a monte o a valle della filiera; pochi i grandi operatori in grado di chiudere il ciclo. Il numero di aziende attive nella gestione del ciclo dei rifiuti è di 637 (escluse le gestioni in economia): 50% specializzato nelle fasi di raccolta e trasporto, il 25% operativo sia nelle fasi di raccolta sia nella gestione diretta di uno o più impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti, mentre il restante 25% è specializzato nella gestione impiantistica. Nel settore rifiuti ci sono molti enti locali che gestiscono in economia il servizio: secondo i recenti dati pubblicati da Arera i Comuni attivi in una o più fasi del servizio sono oltre 5.000, per un totale complessivo (tra aziende e enti locali) di 6.350 soggetti attivi nel comparto; il 73% di questi dichiara di svolgere soltanto un’attività (per gli enti locali tipicamente la riscossione della Tari), mentre il ciclo integrato è svolto dal 2,4% dei soggetti.

I costi del servizio variano in base alla distribuzione territoriale. Per una famiglia tipo (3 componenti in 100 metri quadrati) nel 2019 la spesa per il servizio è stata pari a 310 euro, con forti differenze tra le aree: 273 euro al Nord, 322 euro al Centro, 355 euro al Sud. Differenze che si sono conservate lungo un arco temporale di 7 anni (2014-2019): al Nord la spesa si è mantenuta mediamente pari a 270 euro, al Centro con una riduzione da 336 euro a 322 euro e al Sud con una riduzione da 360 a 355 euro. La spesa più alta per le famiglie del Centro-Sud ha diverse cause, tra queste sicuramente il maggior costo sostenuto per il trasporto dei rifiuti fuori Regione non avendo un assetto impiantistico adeguato.

Il Green Book – commenta il presidente di Utilitatis, Federico Testa – si conferma la monografia di riferimento nel settore dei rifiuti urbani. I dati raccolti e presentati mostrano segnali incoraggianti di sviluppo del settore, evidenziando le ultime novità normative e regolatorie, nonché gli effetti avuti dalla pandemia in corso”. Per il vicepresidente di Utilitalia, Filippo Brandolini, “lo studio evidenzia l’importanza di una gestione industriale dell’intero ciclo dei rifiuti, la necessità di realizzare impianti soprattutto al Centro-Sud e l’urgenza di superare le frammentazioni gestionali. I cittadini che vivono in territori dove non ci sono impianti sono costretti, a fronte di una qualità del servizio ed ambientale più bassa, a sostenere maggiori costi. Il Programma nazionale dei rifiuti dovrebbe puntare a risolvere questi aspetti avvalendosi anche del ruolo di Arera, la cui attività regolatoria può tracciare la strada per fornire un servizio di maggiore qualità e più omogeneo sul territorio nazionale”.

(comunicato Utilitalia)