Nei prossimi anni, le performance economiche dei diversi Paesi saranno sempre più legate alla capacità del tessuto produttivo di adattarsi ai cambiamenti: nuovi settori prenderanno il posto di attività in declino, nuove imprese si sostituiranno a quelle attuali, nuove competenze saranno richieste alla forza lavoro, mentre una parte delle competenze sarà assicurata delle innovazioni tecnologiche applicate ai processi produttivi. Inoltre, al pari dei mutamenti nella demografia, la transizione digitale e il percorso di mitigazione e adattamento ad un clima che cambia stanno apportando profonde trasformazioni nel lavoro. L’interazione di tali tendenze di fondo rende decisamente sfidante il cammino delle utilities. Ma nel prossimo decennio, questi macrotrend globali, quale impatto potranno avere sulle utilities italiane?
1.Competenze, investimenti e dimensioni: le fragilità delle utilities italiane
Fra i diversi aspetti che condizionano le prospettive delle utilities, vi sono anche i punti deboli o fragilità tipici dell’economia italiana. Un primo punto debole è rappresentato dalla specializzazione produttiva dell’economia italiana che ha riguardato soprattutto i settori esportatori della manifattura e dei servizi nel turismo. Tuttavia, l’Italia non ha sviluppato un posizionamento di eccellenza nei settori produttori di nuove tecnologie, quelli più in grado di generare ricadute positive per tutti gli altri settori dell’economia, ivi comprese le utilities. Il secondo aspetto riguarda la velocità con cui le nuove tecnologie vengono adottate e si diffondono. Nel caso delle utilities, un ruolo decisivo per l’adozione delle best practices è giocato, ad esempio, dal sostegno del settore pubblico e dalla qualità delle relazioni fra le università e le imprese del territorio. Un aspetto, questo, ove il nostro Paese paga un certo ritardo. In terzo luogo, rileva il tema degli investimenti per agganciare il cambiamento. In tal senso, un freno è rappresentato dalla ridotta dimensione che caratterizza il tessuto industriale delle utilities italiane, in particolare negli ambiti della gestione dell’acqua e dei rifiuti. Il quarto punto afferisce alla composizione del capitale umano. I cambiamenti in corso comportano modifiche nella domanda di lavoro. Al riguardo, nei settori delle utilities si evidenziano fenomeni di cosiddetta “polarizzazione”, ovvero la tendenza a concentrarsi sulle figure professionalmente più alte e contestualmente su quelle più basse. È a rischio la fascia intermedia, soprattutto nelle professioni impiegatizie. Quinto punto, è l’emigrazione all’Estero dei profili più giovani e più scolarizzati, il cosiddetto “brain-drain”; si tratta di un fenomeno che si crede aumenterà nel prossimo decennio. Infine, la bassa natalità e un incremento dei flussi di lavoratori in uscita dall’Italia, portano anche ad una riduzione dei potenziali fruitori dei servizi, ovvero dalla platea degli utenti in grado di contribuire ai costi necessari alla trasformazione dei servizi.
2. Le policy UE indicano la “rotta” in campo ambientale
Negli ultimi anni, le Istituzioni comunitarie stanno agendo in maniera incisiva per orientare lo sviluppo e la riconversione del tessuto industriale europeo. Acqua e rifiuti, in particolare, sono stati al centro di corposi interventi legislativi pensati nell’ottica di una sempre maggiore sostenibilità e circolarità. Per quanto concerne il servizio idrico integrato, i principali interventi comunitari afferiscono ai seguenti provvedimenti: • La Direttiva (UE) 2020/2184, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, la c.d. “Direttiva Acque Potabili” (per approfondire si rimanda ai Position Paper n. 234 e 184) • La Direttiva (UE) 2024/3019 concernente il trattamento delle acque reflue urbane. La nuova Direttiva sulla qualità dell’acqua potabile richiede un’analisi del rischio delle possibili contaminazioni delle fonti di prelievo nella gestione dei sistemi acquedottistici. Si tratta di un approccio di tipo preventivo, costruito attorno ai c.d. “Water Safety Plan”. La Direttiva (UE) 2024/3019, pubblicata in Gazzetta Ufficiale dell’UE lo scorso 12.12.2024, aggiorna i contenuti della Direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane del 1991, delineando il quadro giuridico relativo alla raccolta, al trattamento e allo scarico delle acque reflue urbane e allo scarico delle acque reflue biodegradabili originate dai settori industriali. Si punta sul rafforzamento degli obblighi di trattamento e sul raggiungimento della neutralità energetica degli impianti di depurazione, entro il 2045, nonché sull’introduzione della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR, dall’inglese “Extended Producer Responsibility”) per i medicinali per uso umano e i prodotti cosmetici. Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti urbani, numerose politiche comunitarie stanno sostenendo la transizione verso l’economia: • Il raggiungimento dei target di gestione (riciclo ≥65%, smaltimento in discarica ≤10%) dei rifiuti urbani, entro il 2035. • L’adozione di politiche di gestione della plastica, a partire dal Regolamento Imballaggi e dalla Direttiva SUP (“Single-Use Plastics”, Direttiva (UE) 2019/904). • Il rafforzamento degli schemi di EPR. • La promozione dei biocarburanti, in primis del biometano. In merito alla gestione dei rifiuti urbani, la gerarchia dei rifiuti urbani richiede, innanzitutto, l’applicazione di adeguate politiche di prevenzione, a partire dall’ecodesign e dai sottoprodotti, e di un efficace ricorso alle pratiche di riutilizzo (si vedano anche i Position Paper n. 258, 230 e 176). Il raggiungimento degli obiettivi al 2035 potrà essere agevolato dall’introduzione di strumenti economici a sostegno di forme di gestione dei rifiuti preferibili dal punto di vista ambientale. Da questo punto di vista, rileva soprattutto la mancanza di incentivi dedicati alla promozione del riciclaggio dei rifiuti urbani (si rimanda anche al Position Paper n. 269). La plastica costituisce la filiera oggetto di maggior attenzione da parte del policymaker europeo. Nonostante gli sforzi profusi e la trasversalità degli interventi normativi varati, che hanno permesso di conseguire dei miglioramenti nell’intero ciclo di gestione, molto resta ancora da fare per 3 accrescere la circolarità della filiera e ridurre la produzione e la dispersione nell’ambiente dei rifiuti plastici. Altro tema è quello dell’EPR, un istituto da allargare per rendere effettiva l’economia circolare. La spinta transizione verso l’economia circolare richiede che i produttori dei beni, divenuti rifiuti, svolgano un ruolo proattivo non soltanto in veste di sostenitori economici nella gestione del fine vita, ma anche come protagonisti nella progettazione e nell’immissione al consumo di prodotti quanto più riutilizzabili e riciclabili nelle loro diverse componenti (il cosiddetto ecodesign). Sul versante della decarbonizzazione dei trasporti, l’UE guarda ai biocarburanti. Si tratta di un’alternativa rinnovabile ai combustibili di origine fossile, producibile anche dai rifiuti, che può contribuire alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Nel corso degli anni, le Istituzioni comunitarie hanno previsto degli obblighi crescenti di immissione al consumo di biocarburanti. Il settore energetico negli ultimi anni è stato caratterizzato da cambiamenti pervasivi, attraverso l’emanazione di numerosi provvedimenti di matrice eurounitaria, Direttive e Regolamenti. Alla spinta derivante dalla volontà politica di indirizzare l’Unione su un percorso verso la neutralità carbonica (evidenziata nel Pacchetto Fit for 55 e nel Green Deal), si è sommata la necessità di affrancarsi dalle importazioni energetiche dai Paesi extra-europei. Aspetto, quest’ultimo, sostanziato nel provvedimento RePowerEU. Al fine di ottenere risultati tanto ambiziosi in un tempo relativamente breve sono stati introdotti numerosi obiettivi e traguardi settoriali che riguardano tre versanti: efficienza, crescita delle rinnovabili, nuove regole. a. In merito all’efficienza, la policy di riferimento è l’Energy Efficiency Directive (EED): tramite questa direttiva, l’UE intende ottenere una riduzione del 11,7% nel consumo complessivo di energia primaria e finale entro il 2030. b. La controparte della EED, in termini di importanza e pervasività degli effetti, è la Renewable Energy Directive (RED), giunta alla terza versione dopo il recente aggiornamento. Secondo questa direttiva le fonti di energia rinnovabile dovranno costituire il 42,5% del consumo energetico complessivo dell’UE entro il 2030. Oltre all’obiettivo globale, la RED III stabilisce traguardi aggiuntivi per specifici settori. c. Infine, per ridurre ulteriormente le emissioni, arriva l’ETS-2, che nasce proprio per affrontare le emissioni di nuovi settori non coperti dal sistema originario. I due principali settori incusi saranno il settore dei: trasporti e riscaldamento degli edifici.
3.Il percorso delle utilities: consolidamento industriale, strumenti economici e regolazione
Vi sono tematiche che – se promosse efficacemente dalle Istituzioni italiane – assicurerebbero uno slancio concreto all’operato delle utilities nazionali con ricadute ambientali ed economiche positive. Si tratta di elementi trasversali ai diversi servizi pubblici. 1. Innanzitutto, il completamento della governance – mediante una piena operatività degli Enti di Governo d’Ambito – costituisce, da anni, una delle questioni da risolvere. Ciò accade specialmente nei settori idrico e dei rifiuti, dato che il settore energy presenta una struttura di governance maggiormente consolidata, ma comunque investita da alcuni cambiamenti. 2. Secondariamente, occorre sostenere il consolidamento industriale, affinché possa essere traguardata una “massa critica” dimensionale che favorisca maggiore efficienza, capacità di investimento ed economie di scala, soprattutto nel settore idrico e dei rifiuti. 3. In terzo luogo, vi sono l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione dei servizi. Le utilities hanno un ruolo fondamentale nella diffusione di proposte di partecipazione ai meccanismi di flessibilità permessi dalle nuove tecnologie e alle connessioni digitali in tempo reale. Le opportunità di business che derivano dall’abilitazione ai servizi di flessibilità per i consumatori sono ampie e per il momento non ancora pienamente comprese nel loro potenziale. 4. Il ruolo della regolazione di ARERA. Data la natura di servizi pubblici regolati, una maggiore efficacia nell’intervento dell’Autorità rappresenta, strutturalmente, un fattore abilitante nel processo di costruzione di una strategia di adattamento resiliente al cambiamento climatico, imperniata sul ruolo delle utilities. 5. L’adozione di nuovi strumenti economici e incentivi. In una fase congiunturale in cui i conti pubblici nazionali sono gravati dalla forte esposizione al debito pubblico, è fondamentale individuare delle modalità di autofinanziamento che permettano di orientare i comportamenti degli attori in gioco attraverso l’aggiustamento di meccanismi incentivanti già presenti. Volendo evitare l’introduzione di nuove tasse, un bacino di risorse economiche da cui attingere è quello delle imposte ambientali, vale a dire quelle tasse che presentano una base impositiva in una grandezza fisica, o in una sua proxy, aventi conseguenze negative sull’ambiente circostante. In conclusione, le utilities italiane possono e devono continuare a rivestire un ruolo centrale, fronteggiando le sfide che i cambiamenti stanno apportando sotto diversi aspetti: dallo sviluppo tecnologico alla resilienza climatica, fino alle ricadute sulle dinamiche del lavoro generate da una nuova demografia sociale.
Leggi lo studio integrale di Ref Ricerche https://laboratorioref.it/2035-dai-m…
Fonte: E-Gazette