ROMA – Aree urbane al centro del rapporto 2019 dell’Osservatorio di Legambiente sull’impatto dei mutamenti climatici in Italia, un dossier presentato il 19 novembre a Roma presso la rappresentanza in Italia della Commissione europea e intitolato Il clima è già cambiato, come purtroppo dimostrano le inondazioni dei giorni scorsi a Venezia, Matera e Pisa e gli eventi meteorologici estremi che si sono abbattuti su molti territori e che colpiscono la penisola con sempre maggiore frequenza.
L’appuntamento è stato l’occasione per fare il punto sul quadro delle informazioni disponibili e sulle politiche europee di adattamento e i piani per le aree urbane italiane con esperti del settore; tra i partecipanti Roberto Morassut, sottosegretario Ministero dell’Ambiente, Valentina Orioli, assessore all’Urbanistica e ambiente del Comune di Bologna, Maria Luisa Parmigiani, responsabile sostenibilità Gruppo Unipol, Erasmo D’Angelis, segretario Autorità di bacino Appennino centrale, Fabrizio Curcio, capo Dipartimento Casa Italia, Edoardo Zanchini e Andrea Minutolo, rispettivamente vice presidente e coordinatore scientifico di Legambiente.
Le città sono l’ambito più a rischio per le conseguenze dei cambiamenti climatici, perché è lì che vive la maggior parte della popolazione mondiale e perché episodi di piogge, trombe d’aria e ondate di calore vi hanno ormai assunto proporzioni crescenti e destinate ad aumentare, insieme alle stime dei danni che possono provocare.
L’Osservatorio di Legambiente Cittàclima, realizzato in collaborazione con il Gruppo Unipol, ha l’obiettivo di raccogliere e mappare le informazioni sui danni provocati in Italia dai fenomeni climatici, di contribuire ad analisi e approfondimenti che riguardano le città e il territorio italiano, oltre a condividere analisi e studi internazionali e esperienze di piani e progetti di città, paesi, Regioni.
L’esatta conoscenza delle zone urbane a maggior rischio sia rispetto alle piogge che alle ondate di calore è fondamentale per salvare vite umane e limitare i danni. In modo da pianificare e ottimizzare gli interventi durante le emergenze e per indirizzare l’assistenza, ma anche per realizzare interventi di adattamento che favoriscano l’utilizzo dell’acqua, della biodiversità, delle ombre per ridurre l’impatto delle temperature estreme negli spazi pubblici e nelle abitazioni.
I DATI DEL RAPPORTO
Dal 2010 ad oggi, sono 563 gli eventi registrati sulla mappa del rischio climatico, con 350 Comuni in cui sono avvenuti impatti rilevanti. Nel 2018, il nostro paese è stato colpito da 148 eventi estremi, che hanno causato 32 vittime e oltre 4.500 sfollati, un bilancio di molto superiore alla media calcolata negli ultimi cinque anni. Dal 2014 al 2018 le sole inondazioni hanno provocato in Italia la morte di 68 persone.
Nelle nostre città la temperatura media è in continua crescita e a ritmi maggiori rispetto al resto del Paese. Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio meteorologico Milano Duomo, è un fenomeno generale e rilevante che riguarda tutte le città con picchi a Milano con +1,5 gradi, a Bari (+1) e Bologna (+0,9) a fronte di una media nazionale delle aree urbane di +0,8 gradi centigradi nel periodo 2001-2018 rispetto alla media del periodo 1971-2000. Aumentano gli impatti del caldo in città, in particolare sono le ondate di calore il principale fattore di rischio con rilevanti conseguenze sulla salute delle persone.
L’accesso all’acqua è un altro tema rilevante che, in una prospettiva di lunghi periodi di siccità, rischia di diventare sempre più difficile da garantire. La situazione nel nostro paese, già oggi, è complicata, in particolare al Sud, per quanto riguarda la qualità del servizio idrico e nel 2017, nei quattro principali bacini idrografici italiani (Po, Adige, Arno e Tevere) le portate medie annue hanno registrato una riduzione media complessiva del 39,6% rispetto alla media del trentennio 1981-2010.
Preoccupante per le città italiane anche l’innalzamento del livello dei mari. Secondo le elaborazioni di Enea, sono 40 le aree a maggior rischio in Italia. A rischio sono anche città come Venezia, Trieste, Ravenna, la foce del Pescara, il golfo di Taranto, La Spezia, Cagliari, Oristano, Trapani, Marsala, Gioia Tauro.
“Di fronte a processi di questa dimensione in Italia e nel mondo abbiamo bisogno di un salto di scala nell’analisi e nelle politiche – dichiara il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini – di sicuro è necessaria una forte accelerazione delle politiche di mitigazione del clima, per invertire la curva delle emissioni di gas serra come previsto dall’Accordo di Parigi. Ma in parallelo dobbiamo preparare i territori, le aree agricole e in particolare le città a impatti senza precedenti. Il problema è che il nostro Paese non è pronto e non ha ancora deciso di rendere questi interventi prioritari, fornendo strumenti e risorse alle città italiane”.
Purtroppo l’Italia è l’unico grande paese senza un piano di adattamento al clima, che permetterebbe di individuare le priorità di intervento e ripensare il modo in cui si interviene a partire dalle città. Nel 2014 è stata approvata la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e, per dargli attuazione, doveva essere approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Dopo cinque anni siamo ancora in attesa che si passi dal campo degli studi a uno strumento capace di fissare le priorità e orientare in modo efficace le politiche. Nel corso della presentazione del Rapporto, Legambiente ha dunque chiesto al governo di approvare quanto prima il Piano di adattamento e di mettere le città al centro delle priorità di intervento.
Sul fronte dei costi: l’Italia dal 1998 al 2018 ha speso, secondo dati Ispra, circa 5,6 miliardi di euro (300 milioni all’anno) in progettazione e realizzazione di opere di prevenzione del rischio idrogeologico, a fronte di circa 20 miliardi di euro spesi per “riparare” i danni del dissesto secondo dati del CNR e della Protezione civile (un miliardo all’anno in media, considerando che dal 1944 ad oggi sono stati spesi 75 miliardi di euro). Il rapporto tra prevenzione e riparazione è insomma di uno a quattro. Ad Agosto è stato approvato il Piano stralcio 2019 che individua e finanzia le opere immediatamente cantierabili nell’anno, scelte in base agli elenchi forniti in conferenza dei servizi dalle Regioni interessate. Il Piano lavora in continuità con gli anni precedenti riguardo il recepimento e la stabilizzazione delle risorse necessarie alla pianificazione contro il dissesto idrogeologico, ma ancora non è riuscito a uscire della logica di una visione puntuale ed emergenziale del problema: si conferma una programmazione per Regioni che solo per sommatoria diverrebbe di “bacino” e non il contrario. Inoltre, non viene mai menzionata la necessità che gli interventi di mitigazione del rischio debbano essere rivisti (specialmente se vecchi) in funzione del cambiamento climatico che stiamo vivendo e agli effetti che si manifestano sui territori. Così come non viene considerata, al di fuori delle opere strutturali, la necessità di imporre lo stop al consumo di suolo come misura efficace per mitigare gli effetti del rischio.
Occorre considerare che anche il non intervento per fermare gli impatti del clima è una scelta, le cui conseguenze oggi si iniziano a conoscere. Secondo alcune stime, in Italia, se l’Accordo di Parigi non sarà rispettato, i danni economici potrebbero far calare del 7% il PIL pro-capite. A livello europeo, le conseguenze degli impatti climatici rischiano di essere drammatiche, con stime che parlano, in assenza di azioni di adattamento, di ondate di calore che potrebbero provocare entro la fine del secolo circa 200mila morti all’anno nella sola Europa, mentre i costi delle alluvioni fluviali potrebbero superare i 10 miliardi di euro all’anno.
L’impatto sarà maggiore sulle fasce di popolazione più povere che non dispongono di sistemi di raffrescamento. In Italia il fenomeno della povertà energetica riguarda già oggi oltre 4 milioni di famiglie. Le elaborazioni su immagini satellitari realizzate da e-Geos per Legambiente relative alle città di Milano e di Roma hanno messo in evidenza come disponiamo di tutte le informazioni per capire i quartieri a maggior rischio durante le ondate di calore e incrociando i dati con analisi sullo stato di salute e le condizioni economiche delle famiglie, degli strumenti per prevenire e ridurre gli impatti sulle famiglie.
BUONE PRATICHE DI ADATTAMENTO E MITIGAZIONE
Sono Bologna e Modena le città emiliano – romagnole citate dal Rapporto di Legambiente quali esempi di buone pratiche in tema di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici.
A Bologna, ad esempio, è stato predisposto il Piano di adattamento climatico (esito del progetto Life + Blue Ap) che prevede il coinvolgimento a più livelli degli stakeholders nell’elaborazione del Piano, con l’individuazione delle sette principali vulnerabilità del territorio cui corrispondono precise azioni e strategie di adattamento, dalla gestione del verde alla riduzione dei consumi idrici ed energetici.
Piazza Roma a Modena viene invece citata nelle best practice di spazi pubblici come progetti di adattamento al clima. Qui infatti l’area è stata pedonalizzata, con la creazione di un velo d’acqua sul piano della vasca a sfioro, cioè a filo con la pavimentazione: un intervento che ha consentito di contribuire a ridurre la temperatura nella piazza rispetto alla situazione precedente.
Tra i quartieri sostenibili, viene citato il Cognento di Modena, per le sue caratteristiche di ecosostenibilità: qui infatti sono state realizzate delle cisterne per la raccolta dell’acqua piovana a uso irrigazione negli alloggi residenziali e un impianto di fitodepurazione. I nuovi alloggi sono inoltre stati progettati con una serie di dispositivi per ridurre al minimo i consumi di acqua ed evitare così gli sprechi.